
LA RESILIENZA DEGLI ALBERI DELLA BOMBA ATOMICA
Gli alberi sono simbolo di vita, resistenza e resilienza. Sanno resistere anche a terribili disastri e sono riusciti a rinascere anche dopo la bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki.
La storia di Yamaki, l´albero della bomba atomica
La straordinaria storia dell´albero Yamaki, nasce a Miyajima, l’isola dei templi al largo di Hiroshima. Qui si trovava inizialmente un centro dello shintoismo e poi un luogo di culto del buddhismo, sostenuto dai discepoli di Kobo-Daishi. È un bonsai di pino bianco giapponese, anche se più grande dei bonsai che vediamo di solito. È molto raro e di difficile cura, ed è l´unico esemplare rimasto di alberi sacri (Shinboku) di questa specie, venerati dal popolo giapponese.
Nel 1625 fu prelevato, portato a Hiroshima, innestato e curato dal maestro bonsai Masaru Yamaki e dalla sua famiglia per più di tre secoli. Prende il nome dalla sua famiglia di appartenenza, che nel 1945 risiedeva a circa 2 miglia dal punto in cui gli americani sganciarono la bomba atomica. Il 6 agosto 1945 quando Enola Gay sganciò la bomba su Hiroshima, il 90 percento della città fu spazzato via. Ma la famiglia Yamaki e alcuni loro bonsai, protetti da un’alta parete che circondava il vivaio , sopravvissero miracolosamente ai frammenti e detriti lanciati ovunque dall’esplosione, oltre che alle radiazioni.

Nel 1976 la famiglia donò il bonsai al National Bonsai and Penjing Museum, presso il National Arboretum degli Stati Uniti a Washington DC. Ma il suo leggendario segreto, è stato scoperto solo nel 2001. Oltre al nome del donatore, nessuno conosceva la sua storia di resilienza. In quell´anno due nipoti del maestro Yamaki, fecero una visita all’arboreto, per vedere l’albero di cui avevano tanto sentito parlare. Raccontarono la storia del nonno e la sopravvivenza miracolosa di quell’albero speciale.
È diventato così un simbolo della pace e amicizia tra i due paesi, dopo la seconda guerra mondiale. Questo albero del perdono ha vissuto quasi 400 anni di storia, tra tsunami, carestie e guerre. Ora il pino Yamaki è affidato alle cure di Jack Sustic, curatore dell´arboreto. La sua storia è raccontata nel libro “Il canto degli alberi” scritto dal biologo dell’Università del Tennessee, David George Haskell.
La resilienza degli alberi della bomba atomica
Secondo il dottor Harold Jacobsen, uno scienziato del Manhattan Project, dopo l´esplosiome atomica, i luoghi colpiti sarebbero rimasti completamente senza qualsiasi forma di vita per 75 anni. Ma già dalla primavera successiva la natura dimostrò la sua straordinaria resilienza dopo la bomba atomica. Nonostante le radiazioni provocate dall´esplosione, tra le rovine di Hiroshima iniziarono a spuntare nuovi germogli. Un mese dopo la bomba, a Settembre, fiorirono le Canna indica. Nella primavera del 1946 invece, fiorì il ciliegio e in autunno, tra le macerie fiorì l’oleandro, ora considerata la pianta ufficiale della città. Fu un messaggio di speranza e rinascita per i sopravvissuti per ricostruire la loro città.
Attualmente Hiroshima continua ad essere una città molto verde, molti alberi furono donati da altre zone del Giappone e paesi stranieri e piantati dopo l´esplosione. Centinaia invece, erano lì già prima della bomba.
Hibakujumoku, gli alberi sopravvissuti
Nonostante molti danni e rami spezzati alcuni alberi riuscirono a sopravvivere, a rinascere e a crescere rigogliosi. Questi alberi sono chiamati “Hibakujumoku”,un termine che nasce dall’unione di ”hibaku” che significa bombardato e ”jumoku” che significa albero o bosco. Sono registrati ufficialmente come alberi colpiti dalla bomba nucleare e identificati con una targa. Su ogni targa ci sono scritte tre cose: sono un Hibakujumoku, la specie e la distanza dall’ipocentro.

Ci sono circa 170 alberi sopravvissuti, che appartengono a 32 specie diverse. Un ginkgo biloba, oggi piegato verso il centro della città, si trovava a 1130 metri dall´ipocentro, un albero della canfora a 1120 metri; un agrifoglio di Kurogane a 910 metri e una peonia a 890 metri. L´albero che si trovava più vicino al punto dell´esplosione, circa 370 metri, è invece un salice piangente, Salix babilonica. È riuscito a rinascere dalla sue radici dopo essere stato quasi completamente distrutto. Altri alberi sopravvissuti sono un pino nero giapponese, Pinus thunbergi, con una cicatrice sul fusto e un muku Aphananthe aspera. La temperatura del terreno dove si trovavano questi alberi immortali, aveva raggiunto tra i 4000 °C e i 6000 °C. Nonostante il calore quasi quaranta volte quello emesso dal sole, lo strato di terra e in alcuni casi lo spessore del tronco non irradiato, hanno protetto alcune parti, miracolosamente sopravvissute.
In Giappone gli Hibakujumoku sono venerati da molte persone che vanno in pellegrinaggio per incontrarli, abbracciarli e inchinarsi davanti a loro per trarre il loro insegnamento di resilienza. Per diffondere l´esempio della straordinaria resilienza della natura, è nata Green Legacy Hiroshima, un’iniziativa con l´obiettivo di salvaguardare e diffondere in tutto il Giappone e nel mondo semi e nuovi nati dei Hibakujumoku.
Chi richiede i semi deve dimostrare di conoscere la botanica e avere un progetto a breve e lungo termine per prendersi cura dei semi e degli alberi.
Gli Hibakujumoku in Italia
In Italia da alcuni anni l’Associazione Mondo senza Guerre e senza Violenza-Biodiversità Nonviolenta di Castenedolo in provincia di Brescia, cura il ricevimento dei semi delle piante rigermogliate dopo la bomba. Questa primavera, in accordo con l´associazione internazionale che promuove la gestione sostenibile delle foreste (Programme for the endorsement of forest certification), è stata scelta l’Università degli Studi di Perugia, per la propagazione di alcuni semi. Sono così germogliati presso l’Orto botanico dell’Università, 27 esemplari di Aphananthe aspera e 13 di Ginkgo biloba.
Il 20 giungo, in un evento a Perugia, gli Hibakujumoku, sono stati proposti come testimoni di capacità di resilienza e ripresa, ma anche come elementi di riflessione. Questa iniziativa voleva dare un messaggio di ripartenza dopo la pandemia e questi alberi sono il simbolo perfetto di forza, speranza e rinascita. Ma la causa di questa pandemia è anche la rovina dell’ambiente naturale in Sudest Asiatico e non solo. Le associazioni volevano mettere come argomento centrale di questo evento, il fatto che non possiamo continuare ad usare il progresso contro la Natura e contro l´Uomo stesso. Abbiamo assistito al risultato di questo con la bomba, ma lo vediamo ogni giorno sempre di più anche con il cambiamento climatico.

La nostra resilienza
La resilienza, questa parola che soprattutto nell´ultimo periodo è entrata nella nostra quotidianità, è da sempre una caratteristica naturale degli alberi. Hanno uno spirito di sopravvivenza e di adattamento, che dovremmo prendere come esempio per superare le difficoltà quotidiane.
Gli alberi sono i veri abitanti del nostro pianeta e non li rispettiamo mai abbastanza. La deforestazione, l´inquinamento, il cambiamento climatico, il consumo sfrenato del suolo e delle risorse non rinnovabili sono argomenti attuali e molto pericolosi. Possiamo essere resilienti come gli alberi, ripartire, rialzarci e adattarci ma dobbiamo essere consapevoli che dobbiamo agire.
Non dobbiamo essere passivi, guardare il clima che cambia, la plastica ovunque, le foreste che vengono spazzate via per far posto alle piantagioni e alzare le spalle. Non dobbiamo credere che non possiamo fare niente perché sono cose più grandi di noi. Certo lo sono. Ma tutti insieme possiamo fare la differenza. Possiamo fare qualcosa di concreto per invertire la rotta del nostro splendido pianeta in declino. Anche nel nostro piccolo, abbiamo tutti il dovere di modificare le nostre abitudini che ci hanno portato a devastare il pianeta. Anche una piccola cosa fatta da miliardi di persone diventa enorme e assolutamente importante per il mondo. È necessario un contributo da parte di tutti per far rivivere la Terra.

