Indios del Brasile che Protestano
Ambiente

GLI INDIOS DEL BRASILE E L’ALTRA FACCIA DEL CORONAVIRUS

L’altra faccia del Coronavirus vede gli Indios del Brasile e di tutto il mondo combattere un nemico invisibile e spietato senza, a volte, nessun arma a disposizione. L’assurdo di questa storia è: che mentre i governi pensano a come salvare il mondo e le città dalla pandemia, ci sono, esseri umani, dimenticati a loro stessi.

In Sudamerica migliaia di indigeni aggrediti dalla pandemia non hanno ricevuto assistenza e cure necessarie. Ma una delle situazioni più gravi si è verificata in Brasile. Sono 501 le vittime indios da Coronavirus, mentre quasi 15mila indios sono stati infettati nei villaggi e nelle aree urbane di tutto il Paese.

Gli indios del Brasile

Attualmente in Brasile ci sono 305 gruppi etnici con circa 900.000 indigeni che parlano 274 lingue diverse. A causa del loro isolamento, questi popoli non hanno sviluppato difese immunitarie verso malattie altrove comuni, e per questo sono sempre estremamente vulnerabili. In passato succedeva spesso che il 50% di una tribù veniva annientata da malattie come il morbillo o l’influenza nell’anno seguente al primo contatto.

Lo sviluppo di attività economiche come la deforestazione per la raccolta del legname e dell’agro business nelle terre indigene in cui vivono i popoli, genera frequenti conflitti e scontri violenti. Che mietono vittime sia tra gli stranieri, ma ancor più fra gli Indiani stessi.

Nel quasi più assoluto silenzio nel corso degli anni queste cose succedono giorno dopo giorno. Il tutto per generare benessere ad un modo di vivere occidentale sempre più confortevole e agiato. In questo ultimo anno le cose si sono notevolmente aggravate. Il Brasile ha 34 Distretti Sanitari Indigeni Speciali (DSEI), responsabili della cura dei villaggi indigeni. Ma il 36% degli indigeni in Brasile vive in aree urbane e non è assistito dal DSEI ma dal Sistema Sanitario Unificato (SUS), in cui gli indigeni sono generalmente discriminati.

Bambini Indios della foresta Amazzonica

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La mancanza di un’azione nazionale per combattere la pandemia da parte del presidente Jair Bolsonaro, ha fatto sì che le popolazioni indigene sono colpite dal virus in tutte le regioni, dal nord al sud del Brasile, aggravando la già drammatica situazione. Nell’ultimo anno 150 terre in Amazzonia hanno subito invasioni di garimpeiros (cercatori d’oro), boscaioli e minatori, incentivati dal governo federale. Bruciano le foreste, uccidono i leader dei popoli indigeni e inoltre il governo federale sostiene i missionari evangelici per catechizzare gli indigeni ad ogni costo.

Tutto ciò accade dalla fine degli anni Ottanta, l’invasione dei garimpeiros, mette in serio pericolo la vita delle popolazioni. Un disastro denunciato da Lucia Capuzzi e Stefania Falasca nel libro: Frontiera Amazzonia. Un libro che racconta la nuda e cruda verità dei fatti accaduti. Questo libro vi farà fare un incredibile viaggio nel cuore pulsante dell’Amazzonia, e vi renderete conto di come il nostro modello di vita non sia per nulla sostenibile, anzi, è altamente distruttivo per il pianeta.

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Gli Indios del Brasile e l’altra faccia del Coronavirus

Pesanti sono le parole pronunciate durante un incontro con il Presidente Bolsonaro, del Ministro dell’Educazione Abrahan Weintraub, che ha detto di odiare i Popoli Indigeni; e del Ministro dell’Ambiente Ricardo Sales che ha tentato di approfittare della situazione causata dal coronavirus per approvare la deregolamentazione e le riforme di semplificazione. Queste prevedono un cambiamento alle norme in favore delle grandi aziende.

Gli Indios non sono rimasti con le mani in mano e sono scesi in più di 3000 in piazza a protestare. Grazie alla protesta e alla pandemia globale, il voto è stato rinviato, ma per quanto? Legalizzare le invasioni dei garimpeiros, favorirebbe le espulsioni e nasconderebbe le violenze sugli indigeni avvenute prima della Costituzione federale del 1988, e le violenze che tutt’oggi accadono. Se il disegno di legge verrà approvato contro gli indigeni, non solo il Brasile ma tutto il mondo ne sarà direttamente responsabile. Questo non deve in nessun modo accadere.

Popolo indigeno dell'Amazzonia riunito vicino ad una capanna.

Una Speranza per i popoli indigeni

Al confine tra Perù, Brasile e Bolivia vive la più alta concentrazione di tribù più isolate del pianeta. Non conoscono confini e attraversano la frontiera tra i tre paesi nelle loro rotte nomadi. Sono gli Isconahua, i Matsigenka, i Matsés, i Mashco-Piro, Mastanahua, i Murunahua (o Chitonahua), i Nanti, i Sapanawa e i Nahua – e molti altri dal nome sconosciuto. Di loro non si sa molto. Quello che si sa e che rifiutano il contatto con l’esterno, spesso a seguito di violenze terribili e malattie portate dall’uomo che viene da fuori.

Alcune di queste tribù hanno scelto l’isolamento dopo essere sopravvissuti al boom della gomma, durante il quale migliaia di indigeni furono ridotti in schiavitù e nel peggiore dei casi assassinati. Molti sono fuggiti nelle aree più remote dell’Amazzonia e da allora vivono lì, lontani dall’uomo che li ha maltrattati per anni. In quelle rare occasioni in cui sono stati avvistati o in cui qualcuno li ha incontrati, hanno reso esplicito il loro desiderio di essere lasciati soli, scagliando addirittura frecce agli aerei o ai droni che volavano sopra di loro.

Curiosità sul modo di vivere dei popoli indigeni

Non si devono vedere queste tribù come primitive di un passato ormai lontano. Sono nostre contemporanee, e costituiscono una parte importante della diversità umana, da cui noi occidentali potremmo imparare molte cose. Una fra tutte, come vivere nel pieno rispetto della natura e in assoluta armonia.

Sono quasi tutte nomadi e si muovono tra i loro territori a seconda dell’alternarsi delle stagioni, in piccoli gruppi famigliari.  Nella stagione delle piogge, quando il livello dell’acqua è molto alto, chi non usa normalmente le canoe vive lontano dai fiumi, nel cuore della foresta. Durante la stagione secca, alcuni si accampano sulle spiagge per pescare e raccogliere uova di tartaruga, altri invece vivono in case comuni e oltre a cacciare e raccogliere frutti della foresta, piantano raccolti nelle radure. Altri, come i Mashco-Piro, sono cacciatori-raccoglitori abili costruttori di accampamenti e altrettanto abili ad abbandonarli velocemente. Cacciano utilizzando lunghi archi e frecce, e tra le loro prede preferite ci sono le scimmie.

Se le loro terre non saranno protette, per tutti i popoli tribali sarà la catastrofe. Per questo, tutta la Frontiera deve essere protetta. In questa regione esistono diverse riserve e parchi nazionali. Ma non è sufficiente. Devono esserne creati altri, in modo da includere tutti i territori indigeni in un’unica area protetta. E queste aree devono essere adeguatamente controllate. In alcune aree il governo brasiliano ha riconosciuto dei territori per le tribù, ma i tagli ai finanziamenti tolgono risorse e gli appostamenti per il monitoraggio sono a corto di personale o addirittura abbandonati. Permettendo quindi a trafficanti di droga e taglialegna di agire indisturbati e impuniti nelle loro terre e continuando ad approvare nuove esplorazioni petrolifere e strade proprio nel cuore di queste terre protette.

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